Cosa sta succedendo sul confine tra Polonia e Bielorussia in cinque domande.
La linea di demarcazione tra Polonia e Bielorussia è lunga poco meno di 420 km e, nonostante sia stata per anni sfondo di importanti vicende storiche, risulta tuttora difficile pensare all’entità delle atrocità che, anche in questo momento, stanno avendo luogo su quel confine.
Quando e come è cominciato?
Risulta difficile determinare la data precisa di quando tutto questo abbia avuto inizio. Ciò che è certo è che il 18 agosto 2021 una trentina di migranti clandestini hanno attraversato la Bileorussia per raggiungere la Polonia. Si trattava di 32 afgani – uomini, donne e bambini – che sono stati fermati alla frontiera, costretti alla sopravvivenza, senza acqua, cibo, cure mediche e riparo. Gli stessi che, mediante un gruppo di avvocati, due giorni dopo, hanno richiesto la protezione internazionale da parte della Polonia. Proprio lo stesso giorno in cui quest’ultima, allarmata dai movimenti nella zona di confine, ha emanato una norma che prevede di rimandare in Bielorussia tutti i migranti intercettati sul confine, nel tentativo di svalicarlo. Inutile dire che negare il diritto di asilo non significa “solamente” infrangere i diritti umani, ma anche il Diritto dell’Unione Europea stesso.
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Per quale ragione assumersi un tale rischio? Ovvero: Perché la Polonia non vuole accogliere i migranti, accettando il fatto di infrangere i diritti umani?
Questa è una domanda crudele, ma assolutamente lecita, in quanto, purtroppo, il mondo non è composto da persone che pongono le minoranze in primo piano. Sarebbe davvero troppo difficile rispondere precisamente a questa domanda ma, per poter essere contenuti, possiamo dire che si tratta di strategia politica. Ebbene sì: la questione tra Bielorussia e Polonia conserva le sue fondamenta nella politica.
La modalità di azione che è stata adottata – secondo le fonti – dalla Bielorussia è consistita dal rilascio semplificato di visti turistici in Iraq, con offerte di “viaggi a pacchetto completo” per Minsk e potenziamento di voli diretti per la capitale (serviti anche dalla compagnia bielorussia Belavia). Una volta giunti a destinazione, i turisti si affidano a dei trafficanti per poter attraversare i boschi a piedi (i valichi di frontiera non sono molti e la maniera più efficace per accedere in Polonia è a piedi, per le zone boschive). Inutile dire che tra quegli alberi non si celano solo animali selvatici, ma anche borseggiatori - pronti ad aggredire - e membri della criminalità organizzata.
Nonostante le condizioni disperate in cui quegli esseri umani si trovano ad affrontare quel confine non si è ricavato molto.
In risposta alla richiesta di protezione internazionale da parte dei 32 afgani quel 20 agosto 2021, la Corte europea per i diritti umani non ha affermato un’eventuale assistenza di obbligo di assicurare il passaggio del confine ai richiedenti di asilo, bensì aveva intimato alla Polonia e alla Lettonia di fornire ai migranti l’indispensabile per poter sopravvivere (cibo, acqua potabile, cure mediche, vestiti e, se possibile, un riparo). A questo appello, esteso fino al 27 Settembre, però, non è stato dato seguito da parte della Polonia, violando ancora una volta i diritti dei richiedenti di asilo.
Ventiquattro giorni prima, lo stato polacco aveva dichiarato lo stato di emergenza, rendendo l’accesso al confine ancora più difficile – limitandone l’accesso persino ai giornalisti ed alle Ong – suscitando l’indignazione di molti, tra cui Eve Geddie, direttrice dell’ufficio di Amnesty International presso le Istituzioni europee, che ha definito questa dichiarazione “illegittima”.
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Chi si è schierato dalla parte dei migranti, oltre le Ong?
A schierarsi concretamente – e coraggiosamente – vi sono i civili: non solo coloro che sono stati arrestati per aver aiutato a confinare un gruppo di migranti, ma anche le luci verdi, letteralmente delle lampadine che segnalano la disponibilità di accoglienza all’interno delle case, per offrire loro pasti caldi, vestiti e riparo.
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Cosa si sta pensando, per risolvere la situazione?
Ai vertici si comincia a pensare al rimpatrio, oppure al ricollocamento dei migranti in luoghi di assistenza. Riguardo la prima alternativa, UNHCR e OIM sono scese in campo, assieme ad altre agenzie dell’ONU, per poter ottenere il permesso di offerta di sostegno alle persone bloccate alla frontiera, ma Varsavia risulta riluttante e questa impossibilità non risulta solo un grande freno, ma soprattutto un fatto inquietante e a dir poco sconcertante.
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In tutto questo, che fine ha fatto l’Unione Europea?
Come ho già anticipato, l’UE non cede, anzi, per ora, non vi è alcun negoziato all’orizzonte: la Bielorussia sta attirando innocenti sul confine solo per dare via ad una (strategica) crisi umanitaria per avere la meglio nel conflitto diplomatico con l’Unione Europea.
A confermare queste ipotesi, vi è una telefonata tra la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente bielorusso Lukashenko, dalla quale emergono dettagli sull’intenzione di quest’ultimo di portare a livelli superiori questa questione, “tra Bielorussia e UE”. Successivamente, il governo bielorusso ha dichiarato l’intenzione di accogliere i migranti in centri di accoglienza sul confine, a Bruzgi, “fino a quando non si sarà risolta la questione” (infatti il 18 novembre l’accampamento dei migranti è stato sgomberato, facendo trasferire orde di persone in centri di accoglienza).
di Benedetta Ghio
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