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L'Invasione dell'Ucraina, 25 Febbraio 2022, La battaglia di Kiev.

Immagine del redattore: Stefano Mauro ForlaniStefano Mauro Forlani

Ieri, 24 febbraio 2022, la Russia ha avviato un'operazione militare su vasta scala con l'intento di "Denazificare e demilitarizzare l'Ucraina". Questa espressione vuol dire sostanzialmente due cose: la prima è l'eliminazione – quantomeno dalla scena pubblica e politica – delle principali voci anti russe presenti in Ucraina, eliminazione che seguirà in successivamente al compimento del secondo punto, ossia la sconfitta sul campo dei soldati di Kiev. Battuti, lasceranno il paese incapace di difendersi; dovrà quindi capitolare davanti all'avanzata di Mosca. Ciò è certo in quanto lo squilibrio di forze in campo è enorme ed evidente: nonostante le forniture di armi occidentali all'esercito ucraino, è solo questione di tempo prima che la Russia raggiunga e occupi i gangli vitali del paese. Quantomeno diquelli che le interessano.

Già analizzando fino a qui la situazione si vede come l'Ucraina che si trova a destra del Dnepr – il fiume che divide in due il paese – cadrà in fretta nelle mani di Mosca, che non pare invece avere interessi sulla parte Ovest del paese, esclusion fatta per la linea costiera meridionale (la regione di Odessa in particolare).

Ieri l'esercito russo è giunto sino a Kiev, e il Cremlino ha fatto sapere che ha inviato ambasciatori in Bielorussia pronti a trattare un cessate il fuoco e una resa (nuovi accordi di Minsk). Non solo, si è peraltro detto disponibile a riconoscere Zelensky come legittimo governatore dell'Ucraina, seppur al contempo Putin abbia fatto un appello ai vertici dell'esercito ucraino, chiedendogli di prendere in mano il potere così da giungere a patti, sicché Zelensky continua a dichiararsi deciso a combattere, e difatti fa distribuire armi alla popolazione e ha impedito l'espatrio dei maschi ucraini tra i 18 e i 60 anni.



L'offensiva russa è stata poi eseguita da manuale, evidentemente progettata per anni, ha visto i corpi d'armata principali agire da Nord (Bielorussia) e da Sud (Crimea) con l'intento di incontrarsi, così da separare dall'Ovest del paese il grosso e il meglio delle forze ucraine, disposte appunto lungo le zone a Est, ai confini col Donbass, visto che proprio là si stava combattendo prima dell'attacco di ieri. A Sud i Russi hanno preso il controllo dei bacini di acqua potabile ucraini che riforniscono la Crimea (che altrimenti rimarrebbe a "secco"), mentre da Nord puntano a prendere Kiev, sede del governo Ucraino, e successivamente Kharkiv, seconda città del paese. Snodi fondamentali da controllare per costringere il paese alla resa.



Tatticamente i russi hanno eseguito un "shock and awe" – colpisci e terrorizza - utilizzato anche dagli USA in Kuwait e Iraq. È la tattica tipica del blitzkrieg contemporaneo, e prevede di accecare e azzoppare il nemico prima di iniziare gli scontri di terra, colpendo con missili e bombardamenti i nodi vitali di un paese: centrali elettriche, ponti, aeroporti, linee ferroviarie, radar e - per fortuna non ancora in questo caso - acquedotti e gasdotti. Così facendo il nemico si percepisce come in totale inferiorità, sicché non riesce a garantirsi il minimo delle infrastrutture per la sopravvivenza né di quelle atte a individuare e colpire il nemico. In Iraq, il governo di Saddam sottoposto a tutto ciò si arrese dopo un mese. In Ucraina sono passati due giorni, e i russi stanno già prendendo la capitale, circondata e privata del suo aeroporto principale, da dove sarà possibile per i russi far affluire ulteriori rinforzi. Allo stesso modo, un'Ucraina senza treni, porti e aeroporti funzionanti è un paese che non può nemmeno ricevere aiuti militari e alimentari dall'Occidente.



Le reazioni dei paesi Nato o filo Occidentali all'invasione sono state di unanime condanna a livello di dichiarazioni verbali (eccezion fatta per Siria e Cina, che hanno supportato l'alleato russo), mentre dal punto di vista pratico – ossia del "come puniamo la Russia per il suo compartamento violento?"- diversi soggetti propongono diversi tipi di penalità.

La "Madre" di tutte le sanzioni economiche è il cosiddetto "Blocco dello SWIFT", ossia il codice che viene utilizzato dal circuito bancario internazionale per spostare denaro tramite bonifici tra le varie filiali delle banche e i vari conti correnti dei privati. Escludere la Russia da questo circuito significherebbe impedirle di effettuare o ricevere qualsiasi pagamento coi soggetti che invece usano questo codice (tutte le aziende di Europa, Giappone e America e non solo), impedendole di commerciare con partner internazionali e non facendole usare all'estero le enormi riserve di liquidità che ha risparmiato e incamerato in questi anni – probabilmente in vista di un futuro incremento delle sanzioni che già da otto anni subisce – che le permetterebbero comunque di resistere, si stima per almeno due anni, all'aggressione economica sanzionatoria che il mondo occidentale potrebbe infliggerle. Gli stati che si rifiutano di sanzionare pesantemente la Russia sono quelli che più hanno interessi nel collaborare con lei: gli europei occidentali con in primis Italia e Germania, che necessitano del gas russo più di tutti gli altri stati europei. Inoltre hanno anche grandi partnership con le aziende e le banche russe, collaborazioni che si paralizzerebbero in caso di blocco SWIFT, penalizzando moltissimo le filiere italiana e tedesca. A favore di ciò sono invece Ucraina, Repubblica Ceca e Gran Bretagna.

Al di là di questo circuito bancario, le altre sanzioni che verranno prese prevedono i blocchi dei visti agli oligarchi russi, che gli impedirebbero di raggiungere e gestire i loro beni di lusso in Europa (ad esempio ville e yacht in Costa Azzurra) e penalità alle aziende strategiche e avanzate della Russia, per non farle modernizzare e renderle meno efficienti.



I possibili finali ed epiloghi immaginabili di questa invasione sono sostanzialmente due: il primo prevede la resa di Kiev ai russi, la caduta del governo Ucraino e l'imposizione al potere di un delfino di Putin, che prometta la neutralità del paese e la fine delle volontà ucraine di ingresso in NATO e UE. Probabilmente i confini delle due Repubbliche di Luhansk e Donetsk verrebbero estesi a quasi tutto il Donbass e diverrebbero staterelli figli della Russia, un po' come avvenuto per l'Ossezia del Sud nel 2008. Il paese affronterebbe poi frange ribelli nell'Ovest, presso Leopoli (Lviv), che sarebbero supportate dall'Occidente, e potrebbero persino riuscire a generare un separatismo simile a quello del Donbass ma di segno opposto (pro Occidente anzichè Pro Russia), ma in questo scenario gli ucraini – per la maggior parte – accetterebbero il dominio russo e il ritorno alla situazione politica del 2013, pur avendo perso terre a est (le due repubbliche sopracitate).

L'altra possibilità, che peraltro segnerebbe la fine di Putin, è quella di un'Ucraina che sì si arrende formalmente, ma il diffuso sentimento patriottico porterebbe allo scoppio di una guerriglia strisciante, fatta di attacchi all'ipotetico governo filo russo, attentati, rapimenti, bombe, cecchini, imboscate, attacchi mordi e fuggi (tutto ciò plausibile visto quante armi stanno circolando ora nel paese tra i civili) ai danni dei collaborazionisti di Mosca. Ciò costerebbe alla Russia moltissimo, a Putin in primis sicchè la sua stessa opinione pubblica si è dimostrata perplessa dell'attacco ai loro fratelli Ucraini, con cui hanno legami di parentela diffusi e la lingua in comune (quasi tutti gli Ucraini parlano anche il russo). La guerriglia trasformerebbe l'Ucraina in un Afghanistan 2.0 per i russi e, trovandosi sanzionati da tutto il mondo per il fatto di aver invaso un paese – un tempo fratello – che rifiuta e combatte siffatta invasione, lo Zar di Mosca dimostrerebbe di aver compiuto una mossa decisamente sbagliata. Putin ha circa due anni di tempo per giungere a una conclusione della vicenda, che è il tempo che si stima durino i 630 miliardi di dollari di riserva nella Banca Centrale Russa con cui il paese sopravviverà alle sanzioni e alla crisi. Se le cose andassero male, gli oligarchi potrebbero toglierli il supporto e finirebbe dunque il ventennio di Putin. Chiediamoci dunque: che Russia sorgerebbe dopo di lui?


di Stefano Mauro Forlani
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