Conseguenze e ripercussioni dei tentativi di una lotta per i diritti umani nel mondo Medio Orientale.
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Come viene siglato nell’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani “Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Volgendo il nostro sguardo verso il mondo medio-orientale probabilmente dovremmo pensare che questo sia ancora una grossa ambizione utopica. Di fatto sono molti coloro che si attivano per poter rivoluzionare dei vecchi, e oramai superati, precetti vigenti in Medio Oriente; nonostante il grande seguito che hanno questi attivisti, il governo è intransigente e condanna ad anni di prigionia e torture gli esponenti di questi gruppi.
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A un anno dal suo arresto, il 7 febbraio 2020, ricordiamo lo studente egiziano Patrick Zaky, ancora in stato di fermo nel paese natale. L’attivista 27enne è impegnato nella lotta alla difesa dei diritti delle minoranze oppresse in Egitto; prima dell’arresto era il coordinatore della campagna per supportare le comunità cristiane cacciate dal nord del Sinai, a causa dell’avanzata dello Stato Islamico, e i diversi gruppi LGBT. La principale accusa mossa a Zaky è stata quella di aver infranto la legge diffondendo, attraverso riviste e social media, articoli che trattavano le violazioni dei diritti della comunità lgbt e più in generale delle violazioni umanitarie nel Paese. Questo ha condannato il ricercatore ad un immediato arresto nel momento in cui ha messo piede all’aeroporto del Cairo. La storia del suo arresto è stata raccontata dall’Egyptian Initiative for Personal Rights, l’organizzazione per i diritti umani con cui Patrick lavora come ricercatore e ripresa da Amnesty International. Trattato come un terrorista, è stato sottoposto a torture crudeli e picchiato e confinato senza nemmeno la possibilità di parlare con la famiglia. A dodici mesi dall’arresto Patrick si trova ancora in arresto presso il carcere di Mansura, a lottare in prima linea per la sua liberazione è Amnesty International Italia che ha lanciato la petizione “FreePatrickZaky”, insieme all’organizzazione si sono mobilitati migliaia di studenti da tutta Italia insieme alle università.
Fortunatamente possiamo però parlare di lieto fine per Loujain Al Hathloul, attivista saudita liberata dal carcere il 10 febbraio 2021. Dopo 1001 giorni passati a sopravvivere alle torture, molestie sessuali e violenze la 31enne è riuscita a far ritorno alla casa natale. Loujain è l’esempio dell’instancabile lotta per l’emancipazione femminile nel Regno dei Saud. L’atto rivoluzionario che la condannò in primo luogo fu nel 2015, quando ancora non era concesso guidare l’auto alle donne, così si mise in viaggio guidando per le strade del Paese. Nel 2018 Loujain insieme ad altre attiviste saudite fu arrestata con l’accusa di minare la stabilità del Regno, collaborare con entità bandite dalla legge antiterrorismo e aver cercato di stravolgere l’ordine pubblico. Anche per lei Amnesty International si è mobilitata per la sua liberazione, ma l’aiuto decisivo è arrivato dall’altra parte del globo; sono state le intense pressioni del neo-eletto presidente statunitense Joe Biden a far scarcerare la donna.
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È quindi questo il prezzo della libertà? Sarà questo il destino di altri giovani attivisti che hanno voglia di rivoluzionare realtà condannate all’immobilismo?
Quello che è sicuro è che la lotta per la totale conquista dei diritti umani è ancora lunga, ma perché nel ventunesimo secolo ci si ritrova ancora combattere in un mondo che si professa come moderno e innovatore, quando invece utilizza strumenti repressivi degni di regimi condannati un secolo fa?
di Martina Bomba
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