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TOTALMENTE ALTRO

Giovanni Nannini

Un ragionamento sul governo Draghi tra doveri e aspettative: cosa porterà a termine e cosa, invece, dovremmo chiedere alla nostra classe politica.


Alla luce del primo mese di governo di Mario Draghi, già si iniziano a tirare le somme e porre critiche che potremmo definire sicuramente premature, e in parte anche infondate a causa delle altissime aspettative che l'opinione pubblica riponeva nel nuovo premier. Fin dall'annuncio del nuovo incarico, infatti, sono comparse sui giornali lodi quasi agiografiche che, per quanto in onore di una figura determinante nella nostra storia recentissima, hanno alimentato speranze troppo alte anche per l'uomo che ha salvato l'euro e l'Europa. A mio parere, per giudicare in modo misurato la condotta del nuovo esecutivo, occorre tenere presente gli eventi e le condizioni che ne hanno permesso la nascita.


Brevemente vorrei ritornare allo scorso dicembre, quando il ritiro delle ministre di Italia Viva portò alle dimissioni di Conte e alla caduta del suo governo, a cui seguì l'incapacità dei partiti di formare una nuova maggioranza che potesse essere all'altezza delle esigenze correnti: è il "fallimento della politica", di cui si è tanto furiosamente scritto nei primi mesi dell'anno, che delude i cittadini quanto le istituzioni.



Al di là di quelle storiche e strutturali, la debolezza più eclatante è stata forse quella del momento: finire a discutere caoticamente di alleanze impossibili (visti gli equilibri parlamentari stravolti con le elezioni del 2018), senza governo, mentre il paese esige di far fronte all'emergenza non solo sanitaria ed economica, ma anche sociale (e potremmo aggiungere psicologica). Oltre a ciò, mi preme ricordare il ritardo e l'insufficienza del programma di spesa del Next Generation EU, l'eccezionale piano di fondi europei, elaborato dal governo Conte. Il rischio era di proporre uno schema fumoso, vuoto sia di concretezza negli investimenti e nelle riforme, sia di alcuna prospettiva reale per il futuro, e per questo perdere un'occasione straordinaria a vantaggio, per una volta, dei giovani. Se vogliamo accanirci sulle apparenze, il fatto che in Italia venga ancora chiamato Recovery Fund è forse un indizio della considerazione che la politica ha per le nuove generazioni.


A dichiarare il fallimento è il presidente Mattarella, con la richiesta di "un governo di alto profilo, che non si debba identificare con alcuna formula politica": è impietoso il riferimento alla condizione dei partiti, impotenti e messi da parte in favore di una figura più adatta, per fama e prestigio, alla situazione drammatica. Da tempo se ne parla, Mario Draghi sembra avere non solo le capacità, ma anche (che è più importante in questo momento) il consenso per guidare il paese in una fase così difficile, precisamente perché, almeno sulla carta, è un “totalmente altro” rispetto alla nostra politica e alla incorreggibile sfiducia che le riserviamo.



Con la formazione di governo si giunge al punto della questione. Il governo Draghi è "istituzionale", ciò significa che non è espressione del Parlamento eletto dai cittadini, ma legittimato dall'incarico del capo dello Stato, e solo successivamente appoggiato dai partiti per formare una maggioranza. In linea di principio, è su questo che si gioca la differenza di aspettative tra un “commissario” e un governo pienamente politico: mentre ai partiti chiediamo tutto quello che le loro promesse elettorali e loro posizione ideologica comportano, da una figura istituzionale, estranea al gioco delle parti, ci aspettiamo che assolva ai suoi compiti, ovvero, nello specifico, mantenere l'"alto profilo" del governo, non mischiarsi alle dialettiche politiche, gestire adeguatamente la spesa del Next Generation EU, far fronte all'emergenza sanitaria e alla crisi economica senza stravolgere il lavoro del governo precedente, portare a termine il piano vaccinale, iniziare un processo di modernizzazione digitale e ambientale. Tutte questioni stringenti a cui bisogna dedicarsi immediatamente. Altre richieste o esigenze, di oggi o del futuro, non sono da porre a questo governo, ma alla classe politica che voteremo dopo questa parentesi di emergenza.


È chiaro che le decisioni prese da Draghi sono a tutti gli effetti "politiche", perché espressione di posizioni nette e non sindacabili, come l'eredità democristiana, l'europeismo o l'economia keynesiana, tuttavia rimangono al di sopra del gioco partitico, e manterranno la loro fittizia neutralità, per risolvere le questioni correnti, almeno finché i partiti non saranno all’altezza della situazione drammatica.


In quest'ottica si rivelano estremamente coerenti molte scelte del nuovo governo, a partire dalla composizione dei ministri: gli ambiti che necessitano interventi tempestivi e precisi, come l'economia, la giustizia, l'innovazione digitale e l'ambiente, sono affidati a tecnici scelti con grande cura, mentre il resto è affidato, in equa proporzione, ad esponenti di tutti i partiti di maggioranza. Tra questi, nessuna "prima volta" da ministro, appunto per sottolineare (in alcuni casi, però, sbavando), l'"alto profilo" richiesto. L'insistenza dei politici nel rimanere al governo evidenzia la loro difficoltà: usciti sconfitti dalla crisi, si sono accodati dietro a Draghi per rivendicare le scelte del governo e cercare di ricostruire una nuova fiducia con gli elettori. Grazie a questa tregua momentanea potremmo vedere cambi di leadership, come Letta per il PD o Conte per il M5S, che potrebbero prospettare un nuovo sistema di alleanze nel futuro.



La condotta del governo, tra la sostituzione del commissario straordinario, la prosecuzione della campagna dei “ristori” e del piano pandemico del ministro Speranza o la ricomposizione del CTS sono in linea con i suoi doveri, ma non sempre con i bisogni dei cittadini: rimane forte l’indignazione e la sfiducia verso le istituzioni da parte dei cittadini, delusi da questo come dal precedente governo.


Insomma, questo "commissariamento della politica" potrà anche portare notevoli benefici al paese, come l'investimento fruttuoso e lungimirante dei fondi europei o il completamento efficiente del piano vaccinale (e non sarebbe affatto improbabile vedere Mario Draghi al Quirinale dopo Mattarella), tuttavia rimangono questioni in sospeso che non potrà in alcun modo risolvere: la maggioranza del governo Draghi è troppo eterogenea per impegnarsi, ad esempio, nella riforma della giustizia, della scuola, o del lavoro, senza contare il risanamento delle drammatiche disuguaglianze economiche e sociali portate dalla crisi pandemica o questioni più delicate come la riorganizzazione delle autonomie regionali rispetto allo stato centrale. Non si chieda a Draghi di curare l'Italia: quello è il compito esclusivo della politica e, soprattutto, dei partiti.


di Giovanni Nannini

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