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La crisi della politica italiana

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Aggiornamento: 6 set 2021

Tre punti fondamentali per comprenderla e arginarla



Che la politica italiana sia profondamente cambiata, nel corso degli anni, è un dato di fatto. E se la sua trasformazione era inevitabile, come lo è per tutte le cose, non possiamo fare a meno di dispiacerci nel vedere la piega negativa che, secondo alcuni punti di vista, tale trasformazione ha assunto. La seconda metà del ‘900, almeno fino all’avvento di Tangentopoli, viene spesso ricordata come teatro della grande politica italiana; possiamo infatti osservare come ancora oggi, a distanza di anni, le idee e gli insegnamenti di quella politica riescano a farsi strada in un contesto sociale profondamente mutato rispetto a quello della Prima Repubblica. Quel che appare ancora più significativo è osservare come alcuni uomini politici



Dello scorso secolo vengano tutt’ora ricordati ed evocati non in quanto semplici personaggi citati nei libri di storia, ma come esempi da seguire, come individui da elevare a paradigma comune. E se, come esperimento, provassimo a chiederci quali esponenti della attuale classe politica potrebbero, in futuro, essere citati, evocati e ricordati come grandi politici, credo che faremmo fatica a trovare un nome. È evidente che questa involuzione della politica, dove politica è da intendersi come insieme di idee, valori, visioni particolari e generali, nasce innanzitutto da coloro che fanno la politica: i politici. Tra leinnumerevoli e complesse motivazioni che hanno spinto ad un impoverimento della classe politica, tre sono quelle su cui mi soffermerò. Innanzitutto, l’istruzione. I politici dello scorso secolo, al di là delle ideologie, mostravano, generalmente parlando, dei tratti distintivi comuni: una buona istruzione e una cultura personale, mediamente, elevata. La classe politica della Prima Repubblica, dati alla mano, era più istruita rispetto a quella attuale: i laureati in parlamento erano l’80,1%; attualmente, nella XVIII legislatura, la percentuale di laureati raggiunge il 68,95% (fonte: Senato-Camera dei Deputati). E se è pur vero che il fatto di avere una laurea non significa necessariamente essere capaci o bravi nel proprio mestiere, è altrettanto vero che un percorso di studi universitari aiuta a crearsi un bagaglio di conoscenze che dovrebbero rendere un laureato più competente, nel suo campo di studi, rispetto a chi, invece, laureato non è. Dunque, i politici italiani moderni sono meno istruiti, e, secondo il nostro ragionamento logico, meno competenti. Un secondo elemento che testimonia una minore qualità della politica odierna è rappresentato dal trasformismo che, oggi più che mai, imperversa tra i partiti politici. E, anche se il trasformismo non è di certo un’invenzione moderna (se ne parla per la prima volta alla fine dell’800, durante il governo De Pretis), sono soprattutto gli anni recenti ad aver visto le forze politiche districarsi tra alleanze e coalizioni sempre diverse, perseguendo obiettivi mutevoli e barattando volentieri idee ed ideali per riuscire a sedersi ad un tavolo di governo. Non più, dunque, una causa collettiva per cui battersi, ma solo freddi interessi contestuali. Un terzo elemento che contraddistingue negativamente la politica moderna è l’uso compulsivo dei social network. La qualità della classe politica risiede anche nei metodi che essa utilizza. Se, anche da questo punto di vista, era indispensabile che avvenisse una modernizzazione per stare al passo con i tempi, questa ha tuttavia spinto nella direzione di una comunicazione sempre più rapida, approssimativa, banale, che ha determinato un impoverimento progressivo del linguaggio politico.



Che la politica sia sbarcata sui social è il naturale corsodell’evoluzione, che non si arresta mai; che la politica si possa fareattraverso i meme, invece, è discutibile. Altro elemento negativo derivato dall’uso dei social in politica, e ciò avviene prevalentemente, ma non unicamente, da parte di esponenti della Destra, è il loro utilizzo per attaccare e mettere alla gogna “avversari” politici, riuscendo a raggiungere all’istante migliaia di followers incattiviti e pronti a scagliarsi in veri attacchi mediatici che ben presto prendono la forma di offese indirizzate all’individuo nella sua sfera privata ed intima, e non contro il politico in quanto pubblica figura. I politici sono, dunque, meno istruiti, svuotati di un’ideologia che li animi e orientati verso un modo di fare politica sempre più approssimativo, sempre più arido. Tuttavia, non possiamo imputare ogni colpa alla classe dirigente. La politica, infatti, non vive in una realtà astratta. Una delle chiavi di lettura per comprendere il declino politico deve essere cercata, prima ancora che nella classe politica, nel popolo. Non sono forse i cittadini ad eleggere i propri rappresentanti? E non sono forse gli stessi cittadini che, negli scorsi anni, hanno combattuto una crociata contro i “professoroni”, contro quegli uomini di sapere e dicultura che venivano etichettati come le “élite” di sinistra? Non sono forse i cittadini che hanno supportato le idee populiste, svuotate di ogni ideale e sostanza, i cui portavoce orgogliosamente si dichiaravano mediocri, uguali a tutti gli altri, senza nulla di speciale?Non sono i cittadini a votare senza cognizione, senza causa? E, infine, non sono forse gli stessi cittadini a confondere, troppo spesso, la competenza con il sentirsi dire ciò che piace sentirsi dire, e l’incompetenza con sentirsi dire ciò che è necessario ma che,ponendoci davanti ad una realtà dura e scomoda, è impopolare? Una delle soluzioni per arginare questo declino, forse, consiste proprio nel riavvicinamento tra popolo e politica; quando il popolo capirà che politica è solo un nome per indicare le continue azioni, anche le più semplici, che ciascuno compie ogni giorno, quando riuscirà a tornare a vedere il suo riflesso in essa, proprio come accadeva nello scorso secolo, allora si potrà arginare questa lenta involuzione. Per ricostruire, d’altronde, bisogna sempre partire dalle fondamenta.

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