La spoliticizzazione delle masse è un problema strutturale comune a numerose democrazie consolidate. È aumentato nel corso dei decenni, cresciuto esponenzialmente in seguito alla Grande Recessione. Negli ultimi decenni, la fiducia dei cittadini verso le élite politiche è progressivamente calata. La faglia tra società e classe dirigente si è allargata mentre quest’ultima è percepita come un club semi-aristocratico autoreferenziale, a cui importa unicamente di fare i propri interessi e quelli di coloro che esercitano pressione sulle istituzioni (lobby, multinazionali, ecc…).
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Questi processi, esacerbati esponenzialmente dalla crisi economica, hanno prodotto la spoliticizzazione delle masse, ovvero un sensibile calo della partecipazione politica da parte dei cittadini. Per tentare di chiudere il divario società – classe dirigente e per cercare di avvicinare i cittadini alla politica, occorre innanzitutto porsi la domanda “che cos’è la politica?”. Secondo il Vocabolario Treccani, la politica è “l’attività svolta per il governo di uno stato, il modo di governare, l’insieme dei provvedimenti con cui si cerca di raggiungere determinati fini, sia per ciò che riguarda i problemi di carattere interno (politica interna), sia per ciò che riguarda le relazioni con altri paesi (politica estera)”. Questa definizione identifica la politica solo come attività di governo (di uno stato, di una regione, di una città) e quindi, inevitabilmente, la relega ad attività esercitabile unicamente dalle élite politiche, ovvero parlamentari, ministri, sindaci, funzionari di partito, ecc… Ai cittadini, per partecipare, non rimane altro che votare alle elezioni, oppure, per tentare di entrare nel processo di governo, venire eletti o formare un partito. Considerare la politica solo come attività di governo ha il grave problema di portare all’identificazione della politica con i politici.
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Ciò comporta l’errore di confondere l’azione con l’esecutore, e questo è uno dei motivi per cui la politica al giorno d’oggi viene mal sopportata dalla stragrande maggioranza delle persone che quindi vi perde interesse e diminuisce la propria partecipazione. Per avvicinare i cittadini alla politica quindi, è necessario cambiare, o meglio ampliare, la nostra concezione di politica. Non dobbiamo considerare essa solo come attività di governo perché questa concezione ha portato a fondere i politici con la politica e ha provocato il disinteresse della cittadinanza, la quale concepisce la politica come un’attività elitaria che può essere svolta solo da pochi eletti. Ciò ha sminuito la partecipazione a mero esercizio elettorale, con scarsi successi peraltro. Dobbiamo trovare una definizione che sia onnicomprensiva di tutta la società, ovvero di ogni singolo individuo che la compone. Solo in questo modo si può valorizzare l’individuo e quindi incentivarne la partecipazione. Sia ben chiaro, la politica è sì attività di governo e amministrazione dello stato, ma non solo. Questa è la parte esecutivo-amministrativa che è prerogativa delle élite politiche, le quali creano provvedimenti (attività legislativa) e li applicano (attività esecutiva-amministrativa) per rispondere a problematiche interne alla società (cioè il popolo). Ma tali problemi, prima di poter essere risolti, devono essere anzitutto individuati e conosciuti. L’individuazione e la discussione delle problematiche sociali è esercitabile da chiunque e benché non produca risultati concreti (tale compito spetta alla classe dirigente) è già una forma di partecipazione politica ed è essa stessa la politica. Inoltre, conoscere e avere un’opinione riguardo certe problematiche, sia interne che esterne, permette di dare una valutazione dell’operato della classe dirigente.
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Possiamo quindi definire la politica (anche) come attività di individuazione e discussione delle problematiche sociali. Tale attività precede la creazione dei provvedimenti atti a risolvere tali problematiche. Quest’ultimo esercizio rimane appannaggio dei legislatori e dei governanti. Questa concezione nobilita la politica in quanto ne sconfessa la fusione con i politici e allarga i confini della partecipazione, incentivandola. Concretamente, partecipare a un’assemblea cittadina o a una conferenza in cui si discutono i problemi della comunità locale o nazionale è già una forma di partecipazione politica. Discutere e confrontarsi con i propri amici o familiari su questioni impellenti che riguardano la società è un’altra forma di partecipazione. Per esercitare tale attività si rende fondamentale la raccolta di informazioni; così facendo si individuano i problemi e si ottiene la conoscenza necessaria a formarsi un’opinione. In questo senso, il ruolo dei media è fondamentale. Essere in grado di scremare le informazioni e formarsi un pensiero critico sono passaggi necessari per esercitare queste forme primordiali di partecipazione. Informarsi su ciò che accade nella nostra società (e nel mondo) è funzionale alla formazione di un pensiero critico che a sua volta è necessario per avere un dibattito costruttivo. Perciò, informarsi è la forma più primordiale ed elementare di partecipazione politica. Perché non vi può essere alcuna individuazione dei problemi, né discussione intorno ad essi, se non si è consapevoli di ciò che accade. Informarsi significa andare al di là della routine della propria vita quotidiana volgendo lo sguardo e l’attenzione verso problematiche che ignoriamo perché non ci toccano da vicino. Questo primo passo è fondamentale per spezzare l’incantesimo dell’indifferenza e dell’individualismo che regna sovrano nella nostra società. Un incantesimo che può rivelarsi fatale specie in un regime democratico, che per definizione necessita della partecipazione di tutti.
di Silvia Spini
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