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NON - POLITICA

Giovanni Nannini

Nel dibattito pubblico, nelle istituzioni, tra i partiti, oggi,

c’è davvero una dialettica che si può chiamare “politica”?


Nel nostro dibattito pubblico, i partiti hanno di frequente argomentato a favore delle riforme e delle battaglie politiche che sostengono invocando, ad esempio, il buonsenso, o richiamandosi in generale ai diritti della Costituzione, o ancora in nome di vaghe idee di giustizia e civiltà. Da ogni schieramento, proposte di cui i partiti hanno fatto la propria bandiera come il reddito di cittadinanza, la Flat Tax, “Quota 100” per le pensioni, o tornando indietro negli anni il bonus di 80 euro, sono state presentate come "scelte di buonsenso", "misure di civiltà”, “difesa della Costituzione” quando, al contrario, erano espressione di precisi interessi elettorali.



Al di là del giudizio nel merito, è la comunicazione e il suo effetto sul dibattito pubblico che va discussa: il sottotesto di simili annunci lascia ad intendere che quelle proposte siano la sola e naturale soluzione al problema, quella che proviene unanime dai cittadini; chi le avanza, quindi, non fa che un atto dovuto alla cittadinanza, mentre gli altri, quelli che dissentono, o sono "matti", inaffidabili, perché mancano di buonsenso, o peggio sono in malafede, tramano contro la volontà generale. Il buonsenso, infatti, è cosa di tutti; l'idea di "civiltà" è talmente vaga che in essa tutti possono rispecchiarsi; la Costituzione contiene i valori che tutti i cittadini condividono: sostenere le proprie battaglie appellandosi a queste idee suona come una tautologia, del tipo "la proposta che sostengo è giusta perché è ovvia, necessaria, e non possiamo che essere tutti d'accordo", che a ben vedere sembra tutt'altro che condivisibile. La retorica che contrappone i "tutti" agli “altri” o il più familiare "popolo" ai suoi aguzzini è chiaramente populista, da marketing elettorale, ma non solo: è negazione della politica.


Nell’ideale democratico, che le nostre istituzioni dovrebbero concretizzare, politica è innanzitutto confronto tra pari. Ciascuno sa di essere “parte”, cioè incapace di rappresentare il volere di tutti: una decisione politica è una decisione in cui si deve prendere posizione, in cui si è necessariamente di parte, perciò nessuno può farsi portavoce della totalità dei cittadini, i quali sicuramente saranno divergenti nelle opinioni. Ciò presuppone un pluralismo di fronti politici, in cui ciascuno è caratterizzato da un’ideologia (con accezione decisamente positiva) propria: valori, ideali, modi di vedere la società e di immaginare il futuro non sindacabili, che distinguono nettamente una parte dall’altra. Le categorie di destra, sinistra, centro, conservatorismo, progressismo, che sembrano traballare di fronte al populismo o alla post-ideologia, non hanno esaurito il loro significato: si poggiano su una chiara idea di politica, che ancora non è tramontata.



Politica è quindi confronto, dibattito, contrapposizione: quella del conflitto è una dimensione ineliminabile, che dalla società viene proiettata nel Parlamento attraverso il voto democratico. È naturale che la più alta politica infiammi, faccia arrabbiare, porti ad opposizioni radicali, perché chiama in causa i valori più alti di ciascuno per decidere del bene comune, del destino di tutti. Il ruolo dei partiti è proprio di strutturare il dibattito, condurlo in modo razionale e dialogico, prendere ognuno la propria parte e avanzare le proposte, di parte, di quella linea politica: è la regola della maggioranza a decretare il vincitore.


C’è naturalmente spazio, in questo quadro, sia per il compromesso che per l’unanimità. Il primo ha spesso a che fare con i calcoli più machiavellici della politica: alleanze per esprimere un governo comune, ad esempio, che sono innegabilmente necessarie per garantire l’efficienza delle istituzioni. Logicamente, però, possono avere luogo solo tra parti dai valori in qualche modo conciliabili. Nonostante i conflitti, poi, c’è spazio anche per accordi ampi e voti unanimi, anche oltre le divisioni: insomma, è inevitabile che la dialettica politica mantenga una sua dimensione pragmatica, da gioco di potere, ma non può perdere l’orientamento ideologico che ne guida le decisioni.



Tornando al punto di partenza, sembra chiaro che ci sia ben poco di “politico” negli annunci delle proposte sopra citate, ma ciò che più preoccupa è il loro effetto sul dibattito pubblico: il punto è che non ci può essere discussione tra pari, cioè politica, intorno a scelte che vengono poste come “di buonsenso”. Per questo motivo abbiamo visto, negli ultimi anni, una dialettica politica quasi avvilente, fatta di accuse, bisticci e semplificazioni. Senza contare che le proposte effettivamente entrate in vigore non hanno sortito alcun effetto davvero positivo, tanto che sono state rimesse in discussione in poco tempo: i casi sono tanti, da “Quota 100” non più rinnovata al Reddito di cittadinanza da riformare, ai “Decreti Sicurezza” criticati dallo stesso premier che li ha approvati. È chiaro che queste problematiche siano imputabili soprattutto ai partiti, i quali, infatti, tanto per l’inefficacia delle loro proposte quanto per il dibatti sconclusionato che conducono, hanno perso la fiducia di gran parte dei cittadini (l’affluenza alle urne delle ultime amministrative è significativa da questo punto di vista).



Per concludere, un appunto sul governo Draghi. Il nuovo premier è stato incaricato proprio perché estraneo ai partiti e a queste dinamiche: la sua legittimazione si basa sul fatto di riuscire, in parole povere, a “far funzionare” il paese con moderazione. Per quanto il suo apporto sia stato necessario (in particolare per accedere ai fondi del Next Generation EU) e poco criticabile sul piano dell’efficienza, un simile assetto di governo rimane non-politico, perché la variegata maggioranza che lo sostiene non può riuscire a produrre una sintesi comune su temi prettamente politici: l’azione di governo di Draghi, infatti, si è finora limitata a pochi settori di amministrazione, come l’emergenza Covid-19 o la predisposizione tecnica della transizione ecologica e digitale. Quella di Draghi dovrebbe rimanere una parentesi, pur necessaria e positiva, prima di ritornare ad una vera politica, che sappia prendere parte sulle questioni del nostro futuro.


di Giovanni Nannini

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